Questa settimana nella casetta è arrivata una nuova energia: sono entrati due ragazzi di 17 anni, che avevano bisogno di un appoggio, soprattutto dal punto di vista medico.
Il loro arrivo ha un po’ scombussolato la routine a cui mi ero ormai abituata, ma è stato bello assistere al processo di inserimento, che non è mai semplice e richiede tempo, fiducia e tanta sensibilità.
Verso la fine della settimana, uno dei due ha deciso di lasciare la casa per andare a cercare suo figlio.
Qui la permanenza è totalmente libera e volontaria: restare significa scegliere di collaborare, di impegnarsi e di voler migliorare.
Venerdì abbiamo festeggiato Halloween . Anche se non tutti condividiamo il significato di questa festa, abbiamo deciso di viverla come un momento di leggerezza e di gioco. Abbiamo realizzato maschere di carta, ognuno con la propria fantasia e dedizione, e poi siamo usciti in piazza a chiedere “dolcetto o scherzetto”. I ragazzi erano felici, perché per una volta non si sentivano diversi dai loro coetanei. Mi ha colpito la loro disinvoltura, la conoscenza della strada, ma soprattutto la loro attenzione verso di me: mi ricordavano costantemente i pericoli per assicurarsi che fossi al sicuro. Così ho capito che, quella sera, il mio compito non era proteggerli, ma ricordare loro di essere bambini, di potersi divertire senza paura.
Sabato ho accompagnato la responsabile di Fundaciones per promuovere la campagna dei “turrones”, dolci tipici venduti per sostenere le attività della casa.
E oggi, domenica, siamo scesi in campo per un torneo di calcio con altre case di accoglienza .
Vederli giocare, partecipi e pieni di entusiasmo, è stato bellissimo.
Come in ogni parte del mondo, anche qui lo sport è divertimento, sfogo, unione e amicizia.
Ogni settimana che passa sento crescere il legame con questo luogo e con le persone che lo abitano.
La Casetta è davvero una piccola scuola di vita, dove ogni giorno si impara qualcosa di nuovo — sugli altri e su se stessi.
Giovedì scorso sono entrata per la prima volta nella nostra casetta in Perù.
Appena aperta la porta, un sorriso dietro l’altro. Abbracci sinceri.
I ragazzi e gli operatori ci hanno accolti come si accoglie qualcuno che si aspettava da tempo.
E già lì ho sentito che questo posto avrebbe iniziato a cambiarmi.
Nei primi giorni abbiamo condiviso momenti semplici e pieni di vita: la preparazione della causa, il piatto tipico peruviano fatto tutti insieme, il gioco, le risate, le passeggiate per strada.
Abbiamo visitato una delle famiglie che sosteniamo e l’amore che li univa, nonostante la precarietà e le difficoltà, ci ha toccati profondamente. La bambina più piccola si è addormentata tra le mie braccia. In quel gesto ho sentito la ricerca di sicurezza, non la mancanza di affetto… e mi è rimasta dentro.
Dopo la gita a Paracas con il gruppo, è iniziata la mia vera avventura: io sono rimasta qui. Giorno dopo giorno sto imparando la vita della casa: si gioca, si studia, si apparecchia, si ride, ci si mette in cerchio e si cresce insieme.
I ragazzi mi accompagnano quando devo fare commissioni perché conoscono la zona meglio di me — e così, passo dopo passo, conosco le loro storie. Sono emozionata per le settimane che verranno. C’è voglia di imparare, di crescere, di prepararsi per la scuola. Con alcuni inizieremo lezioni settimanali di inglese o italiano, con altri dedicheremo un’ora al giorno a leggere e scrivere. Mi sento grata, grata per il modo in cui mi hanno accolta. Grata a Marta (mia zia), a mia sorella e al gruppo di amici italiani che hanno condiviso questo inizio insieme a me. Questo è solo il primo capitolo. Il viaggio è appena cominciato. A presto con il racconto della prossima settimana.
Finalmente siamo tornati nella nostra casa famiglia in Perù.
Dopo tanta attesa, giovedì siamo atterrati con un gruppo di amici e da subito abbiamo sentito quell’energia familiare che solo questo posto sa regalare.
Questi primi giorni sono stati pieni di momenti semplici e preziosi: il gioco con i bambini, i pasti condivisi, la visita alle antiche rovine di Pachacamac, la risata di gruppo mentre preparavamo la causa, il piatto tipico peruviano che ci ha fatto sentire ancora più vicini.
Ci siamo divisi in due gruppi per incontrare alcune famiglie che sosteniamo: ascoltare le loro storie, entrare nelle loro case, guardare negli occhi i ragazzi… ci ha fatto capire ancora una volta quanto ogni gesto di solidarietà costruisca legami reali e profondi.
E oggi… una giornata di pura meraviglia: la Riserva Naturale di Paracas ci ha accolti con il suo mare limpido, il vento salato e il sole che finalmente ha fatto capolino dopo il grigio di Lima.
Ragazzi e adulti insieme, felici, grati, pieni di quella gioia semplice che nasce quando ci si sente parte di qualcosa di vero.
È bello essere tornati.
È bello riscoprire, passo dopo passo, il valore del nostro progetto e della famiglia che siamo diventati.
la casa-famiglia è un rifugio in momenti di crisi per ragazzi che in passato hanno vissuto con noi. Così è stato per Frank (25 anni).
Si è presentato qualche giorno fa in condizioni terribili: magro, sporco, incapace di guardarci negli occhi e facendo discorsi sconnessi. Cercava aiuto. Erano molti anni che non sapevamo nulla di lui. Nel 2014-2015 ha vissuto nella casa per un anno e ha partecipato al viaggio a Cuzco con il gruppo di Italiani del primo viaggio solidale organizzato da Sinergia. Ha molti ricordi di allora. È stato difficile per Martin capire cosa voglia davvero. Frank alterna momenti di lucidità ad altri di assenza. L’uso di più droghe (colla da scarpe, marijuana, pasta di cocaina) deve aver aggravato il ritardo cognitivo già in lui presente. Ho sentito tanta pena e compassione: tutti lo abbiamo abbracciato nonostante lo sporco e la puzza. Non si poteva restare indifferenti. Vista l’età e le condizioni critiche, Martin ha preferito contattare il fratello minore e riportarlo momentaneamente a “casa”. Un’odissea nel traffico. Ore e ore intrappolati sulla tangenziale per incidenti. Martin è riuscito nel giro di poche ore a trovare per Frank un posto nella struttura di una nostra cara amica. Avrebbe dovuto tornare a prenderlo il giorno dopo per accompagnarvelo. Le cose però sono andate diversamente. Per tre giorni siamo andati a “casa” sua senza trovarlo: era già uscito in strada a lavorare per mangiare e comprarsi la droga. Finalmente giovedì scorso lo abbiamo trovato ancora addormentato. È iniziata un’attesa lunghissima, di varie ore, per riuscire a svegliarlo. Il fratello, al lavoro, ci ha dato il permesso di entrare dalla finestra. Lo abbiamo trovato come vedete nella foto. Avvolto in coperte sudicie, fra immondizia e resti delle droghe consumate. Una pena infinita. È difficile chiamare “casa” lo scheletro di cemento costruito dal padre muratore che, dopo la morte della madre, ha abbandonato i figli a sé stessi. Ognuno si è arrangiato e ora sono estranei. All’interno c’è solo immondizia e sporcizia. Niente pavimenti né tetto. Cemento grezzo, lamiere e cartoni. Il fratello però lavora. Ha una vita normale. La solitudine lo rende forse incapace di desiderare una vita migliore. Dopo ore di attesa seduti sul marciapiede, coi vicini preoccupati che avessimo cattive intenzioni, siamo riusciti a svegliarlo, imboccarlo (da solo non riesce a mangiare coi pugni sempre contratti) e a fargli capire che lo portavamo in una struttura. Di nuovo l’incubo del traffico. Quattro ore e mezzo di code per incidenti. Lui ha dormito e parlato pochissimo, ancora sotto l’effetto delle droghe con cui si era fatto tutta la notte. Che gioia quando siamo arrivati a destinazione! Non ci ha nemmeno salutati al momento in cui lo hanno accompagnato nella stanza pronta per lui. Non importa. Conta che in un momento di lucidità sia riuscito a venire a chiederci aiuto. Incredibile si sia ricordato la strada dopo tanti anni e in queste condizioni. La nostra casa-famiglia costruisce legami di affetto vero coi ragazzi, che vedono in noi un RIFUGIO anche da grandi, quando sono disperati. E noi li accogliamo come figli prodighi che tornano a casa. Questo è quello che vogliamo essere per loro, una FAMIGLIA, un RIFUGIO, sempre e comunque, perché l’amore non ha fine, se è sincero e disinteressato.
con Martin abbiamo visitato la casa di Alejandro, uno dei ragazzi che vivono in casa-famiglia. Era da tempo che non entravo in una casa dei nostri beneficiari. Mi ha colpito tanto. Mi ha ricordato che è essenziale conoscere da dove arrivano i ragazzi che aiutiamo per comprenderne carattere, comportamento e difficoltà di adattamento.
La madre di Alejandro ha vissuto per strada (lui lo ricorda). Vive con tre dei sei figli in una stanza in affitto di pochi metri quadrati: un unico ambiente fa da cucina, sala, camera e bagno (separato da una coperta). Quattro gatti scorrazzano sui materassi e riempiono di odori lo spazio angusto. Proprio l’odore penetrante mi ha assalito per primo. Non sono più abituata a frequentare luoghi così umili, dove è impossibile mantenere la pulizia perché ogni centimetro serve per vestiti, scarpe, utensili da cucina, documenti, giochi. La vita però vince sempre. La vita che, in questa casa, si manifesta con l’allegria della sorellina. Stella. Un nome bellissimo per una creatura di soli cinque anni, nata con una malformazione al cuore (ha già un bypass) e altri handicap. Stella però è piena di forza, di voglia di giocare e di parlare. Mi mostra i suoi giochi preferiti mentre Martin conversa con la madre e con il fratello di Alejandro. I brillantini per le palpebre, le formine per inventare dolci con la plastilina. Nella sua innocenza mi racconta in poche battute la situazione del fratello: “Si comporta male. Non vuole mangiare. Esce solo per andare all’internet”. Le sue parole sono confermate dai racconti della madre. I problemi sono davvero tanti: il lavoro precario e informale (la madre ha lasciato la cooperativa di pulizie per prendersi cura della bimba), i costi elevati delle medicine e della futura operazione per il cambio di bypass, il figlio che esce in continuazione e spesso non rientra a dormire a casa, i padri dei suoi figli che non danno nessun aiuto economico, con l’eccezione dell’attuale compagno. Passano davanti ai miei occhi, come frammenti di un film drammatico, le scene della loro vita. Alcune sarebbero simili alle nostre, se il contesto non fosse molto più povero e precario. Il ragazzo parla poco (ha un leggero ritardo cognitivo) e non manifesta la volontà di rientrare nella nostra casa-famiglia come la madre aveva detto a Martin. Noi non forziamo mai l’ingresso di un minore nella casa: è fondamentale che venga a viverci solo se vuole davvero, senza pressioni dei familiari. Al momento di salutarci lasciamo aperta la possibilità che torni con noi, se vorrà. Portiamo via la confezione del costoso farmaco antiepilettico che Stella prende regolarmente. Martin proverà a procurarselo scontato da un’amica impiegata in un’azienda farmaceutica. Ora capisco molto di più i silenzi di Alejandro, la sua ritrosia agli abbracci, la foga nel mangiare. 17 anni di povertà estrema lasciano il segno. Alejandro però è sempre più sicuro dei suoi obiettivi: finire la secondaria e formarsi come pasticcere. Forse lo spinge la voglia di riscatto sociale e di aiutare la propria famiglia di origine. Grazie Alejandro e Stella, per avermi ricordato la dignità di ogni vita e l’importanza di avere la possibilità di un futuro migliore. Forse Alejandro riuscirà a costruirlo insieme a noi. Lo spero tanto.
questa settimana ho conosciuto meglio i ragazzi della nostra casa-famiglia. I momenti quotidiani offrono occasioni per nuovi legami d’amicizia. I pasti sono momenti privilegiati in cui scambiarsi vissuti e abitudini diverse, alternandoli agli indovinelli degli educatori. Oggi vivono con noi 7 ragazzi. Nella foto Mateo (15 anni) e Alejandro (17). Molto simpatici e allegri, studiano entrambi in una scuola privata per recuperare il ritardo nella scolarizzazione e studiano anche elettricità e pasticceria in una scuola professionale.
Miguel (12) è fratello di Mateo: frequenta l’ultimo anno della primaria con impegno e ottimi risultati. Le sue materie preferite sono matematica e motoria: ha appena vinto delle gare di atletica in una competizione interscolastica del settore Sud di Lima. La scuola ha dato molto risalto sui social alle sue vittorie. È molto intelligente e curioso. Juan (16) è stato accolto finché non riusciremo a trovare una casa più adatta al suo profilo. Ha infatti un ritardo cognitivo che lo rende parzialmente autonomo nelle attività quotidiane e implica l’accompagnamento costante deli educatori. Gli piace mangiare e abbracciare tutti in continuazione. Quando si dedica alle attività che gli piacciono è concentratissimo, per esempio nella dama e nella lettura di fumetti. Junior (11) era venuto a conoscere la casa qualche settimana fa ed è entrato a viverci da pochi giorni. Ha una dipendenza dai videogiochi e scappava da casa senza permesso, dormendo anche per strada. La maggioranza dei ragazzi che oggi sono in casa hanno un’esperienza iniziale della vita di strada. Justin (14) è timido e bisognoso di affetto. Arrivato da un paio di mesi, non frequenta ancora la scuola, ma studia in casetta con l’insegnante interno. Nei suoi comportamenti sembra molto più piccolo della sua età: va a letto prima degli e dorme tanto, è sensibilissimo ai rimproveri e si mette a piangere facilmente; come Juan ti chiede spesso di abbracciarlo, quasi avesse bisogno di essere rassicurato. C’è infine Julio (21) che da marzo frequenta la facoltà di economia e vive a giorni nella casa, a giorni in una stanza in affitto vicinoall’università. Sarebbe troppo complicato andare e venire tutti i giorni (3 ore solo andata). È molto concentrato negli studi, grato per l’opportunità, sereno nelle sue attività. Commovente vedere come, in modo spontaneo, assume un ruolo di aiutante degli educatori quando è in casa: accompagna i più piccoli a scuola o a visite mediche, se non c’è l’assistente sociale; va a fare compere dell’ultimo minuto;supporta in situazioni di emergenza (come quando Juan è uscito dalla casa senza permesso ed è stato ritrovato da un educatore solo alla sera, in un punto lontano dalla casetta: è stato proprio Julio ad andarlo a prendere e a riportarlo a casa).
Ecco, cari amici, vi dono questi semplici frammenti di vissuto quotidiano della nostra casa-famiglia dove i ragazzi ritrovano piano piano la serenità e riprendono gli studi e le attività adatte alla loro età, sanando anche le relazioni con i loro familiari. Spero possiate sentire i ragazzi più vicini a voi.
Vi scrivo dal Perù dove sono arrivata nel nostro progetto mercoledì scorso. Nonostante la fatica del lungo viaggio e l’umidità di Lima, arrivare nella nostra casa-famiglia e rivedere operatori e ragazzi è sempre una gioia immensa.
Di anno in anno, ho lo straordinario privilegio di vivere un ritorno a casa, fra le braccia di amici cari, che sono la nostra grande famiglia peruviana. Ogni giorno ho l’occasione di vivere momenti speciali che mi fanno toccare con mano la bellezza delle nostre azioni di aiuto qui in Perù, ma una in particolare ha fatto vibrare profondamente il mio cuore. Eccola. La condivido con tanta emozione con voi, come un simbolo di speranza per il nostro mondo.
Io e Martin stavamo rientrando in auto dal ritiro delle eccedenze alimentari che riceviamo come donazione da alcuni supermercati. Sul ciglio dell’autostrada, Martin ha visto una famiglia di Venezuelani che camminavano, zaino sulle spalle: padre, madre e tre bambini piccoli. Da vari anni il Perù è meta di migranti dal Venezuela che lasciano il loro paese, per l’inflazione spaventosa e una ridotta democrazia. Cercano migliori condizioni di vita in altri paesi del Sudamerica. Spesso lo fanno a piedi perché non hanno i soldi per prendere altri mezzi. Martin si è fermato per dare loro un po’ di viveri delle donazioni. Erano sorpresi e contenti. Poi li ha fatti salire sull’auto per portarli in un distributore dove Martin sa che si fermano tanti camion merci a cui avrebbero potuto chiedere un passaggio verso il Cile. Martin ha dato loro altre utili informazioni per il cammino e ha chiesto alcune cose su di loro e sul loro viaggio. Sono in cammino da un mese e mezzo. Dormono dove capita, solo con delle coperte perché non hanno una tenda. Hanno lasciato il Venezuela perché ormai con lo stipendio riuscivano a mangiare una settimana sì e una no (il bambino ha anche aggiunto che, a volte, hanno cercato cibo nell’immondizia). Stanno cercando di raggiungere Arica, in Cile, dove ci sono già dei loro parenti.
Io mi sono limitata ad osservare, mi sentivo inadeguata ad una situazione così difficile per loro. Avevano così tanta dignità e gentilezza negli occhi e nel modo di parlare. Nessuna esigenza. Nessun rancore. Solo il desiderio di migliorare la propria condizione di vita. Mi hanno commosso, come sempre, la generosità, la delicatezza e la sollecitudine di Martin. Il suo animo buono è emerso, in tutto il suo splendore, per l’ennesima volta. Un privilegio essere stata presente a questo incontro che condivido con voi, con tanto affetto. Custoditelo nel vostro cuore come una prova preziosa che l’umanità buona, solidale e fraterna esiste ancora e saprà emergere sempre di più sulla Terra . Ne sono sicura.
Siamo felicissimi di annunciare che, grazie al vostro incredibile supporto, abbiamo venduto ben 𝟒.𝟓𝟑𝟎 𝐛𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞𝐭𝐭𝐢, raccogliendo 𝟒.𝟓𝟑𝟎 𝐞𝐮𝐫𝐨 per la nostra Casa Famiglia in Perù!
Un ringraziamento speciale a tutti voi che avete partecipato, condiviso e sostenuto questa iniziativa e agli sponsor che ci hanno donato dei fantastici premi:
I vincitori saranno contattati direttamente dai volontari per il ritiro dei premi.
Grazie ancora per aver reso questa lotteria un grande successo. Con il vostro aiuto, possiamo continuare a offrire speranza e sostegno a chi ne ha più bisogno. Continuate a seguirci per scoprire i prossimi progetti e iniziative!