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Notizie da Lima | mercoledì 28 Agosto 2013 20:18

Verona, 28 agosto 2013

Carissimi amici,

come accennato nell’ultimo mio messaggio prima del rientro, vorrei condividere con voi la parte per me più profonda di questa mia permanenza nel progetto peruviano: i giorni in cui sono andata in strada con Martin. Erano vari anni che non sentivo così forte il desiderio di andare a incontrare i ragazzi nelle zone in cui vivono: l’anno scorso ero andata in una sola occasione e mi aveva pervaso una profonda tristezza di fronte alle condizioni di vita in cui li avevo visti, colpita dagli odori e dalla sporcizia dei luoghi, che mi avevano fatto provare  un senso di estraneità e di impotenza. Quest’anno è stato diverso: le tre giornate e mezza che ho passato con Martin al fianco dei ragazzi mi hanno fatto provare soprattutto una profonda “comunione” con loro, fatto sperimentare quanto sia sottile il limite tra il pianto e il sorriso, vedendo come affrontano situazioni profondamente tragiche con spirito a volte ironico, ricordato quanto sia importante la presenza del nostro progetto in strada, non solo in casa-famiglia, soprattutto per l’umanità e la grande abnegazione con cui aiutiamo questi ragazzi. Inutile ormai dirvi che le giornate in strada con Martin sono infinite: a volte ci si chiede dove trovi tutta la forza d’animo e fisica per dialogare, guidare, spostarsi da un punto all’altra della città, correggere, suggerire, rispondere al telefono…perché tutto questo avviene spesso in contemporanea senza lasciarti un attimo di respiro.

Martedì 12 siamo partiti col pulmino da casa di Martin per una prima tappa presso l’ufficio della Denuma, organo preposto alla salvaguardia dei diritti dei cittadini, almeno sulla carta, perché di fatto, dopo vari appuntamenti a cui si sono presentati la nostra psicologa e l’assistente sociale, spesso senza trovare la persona che li aveva convocati, e, pur avendo presentato ad aprile il caso del fratello minore del nostro Victor, perché intervenissero come ente statale a salvaguardarne il diritto allo studio (la mamma non si preoccupa di mandarlo a scuola, nonostante tutto l’aiuto che gli abbiamo dato per inserirlo in una struttura scolastica adeguata), ad agosto non avevano ancora ottenuto nessun risultato concreto e non erano in grado di dirci a che punto era arrivata la loro azione. Quel giorno io e Martin abbiamo usato delle maniere più decise, pretendendo che passassero il caso al giudice minorile per iniziare un percorso di presa in carico del minore: non ci ha stupito, o meglio ormai non ci stupisce più che proprio l’ente preposto non abbia i finanziamenti né gli spazi per accogliere i minori e quindi facciano di tutto perché sia tu, come istituzione privata, a segnalare il caso al giudice. Io e Martin però abbiamo insistito che lo facessero loro, proprio perché da anni abbiamo chiaro che bisogna “esigere” agli enti statali di svolgere il loro ruolo, evitando che cerchino la via più comoda trasformandoci in un loro sostituto. Di fronte alla nostra insistenza e anche alle critiche che nascevano dalle nostre parole, finalmente si sono impegnati a fare la segnalazione entro la mattinata.

Questa prima tappa però si è mescolata ad un’altra azione di aiuto: infatti prima di andare alla Denuma ci siamo incontrati con Edvin, un ragazzo di strada che l’anno scorso abbiamo aiutato ad avere la proprio carta d’identità e che non ha ancora riconosciuto e iscritto il proprio figlio all’anagrafe. Martin nei giorni precedenti lo aveva dolcemente minacciato di denunciarlo, se non avesse dato al figlio proprio quel documento per il quale lui ha dovuto aspettare fino alla maggiore età: da parte di Martin era una tattica per stimolarlo a prendere coscienza dell’importanza di dare un’identità legale al figlio, che ha funzionato bene. Infatti La mattina abbiamo incontrato ad un angolo di strada Edvin, piuttosto timoroso, ma disposto ad iniziare con l’aiuto di Martin la prima pratica: richiedere all’ospedale il certificato di nascita in vita del proprio figlio. Edvin è un musicista folklorico, che ha messo su un piccolo gruppo che viene scritturato da locali e “sagre”, per cui si è presentato con il suo “mandolino, insieme al cugino che suona nello stesso gruppo, e nel corso delle ore trascorse insieme si sono mescolate le pratiche in ospedale con momenti “surreali” di concerto in un parco pubblico che sono stata delicatamente “obbligata” a filmare su sua richiesta per poi metterlo su you-tube e facebook, come forma di pubblicità. Purtroppo il video non è stato ben memorizzato dalla mia macchina fotografica (non sapevo come dirglielo), ma almeno ho qualche foto dei preparativi. Era la prima volta in vita mia che durante un’uscita in strada  mi trovavo a filmare un gruppo folklorico! Questo intendevo prima nel dirvi che in strada il serio si mescola sempre col sorriso e che la vita continua incessante in tutti i suoi aspetti. Siamo comunque andati in ospedale per capire come richiedere il documento, anche se erano necessari i dati esatti del bimbo e della madre che Edvin  non ricordava: quindi Martin si è messo d’accordo che avremmo contattato noi la madre, ma che poi lui avrebbe dovuto impegnarsi a realizzare la pratica insieme.

Da lì ci siamo diretti verso il centro, dove avremmo dovuto incontrarci con un ragazzo che è appena uscito dal carcere e che Martin voleva guidare nel suo reinserimento nella vita sociale per evitare che si rimetta negli stessi giri di furti che lo hanno portato dentro. Mentre Martin guidava però lo hanno chiamato altri ragazzi e così si è messo d’accordo di incontrare pure loro. Dentro di me pensavo che sarebbe stato un miracolo se fossimo riusciti a fare tutto: in effetti tutti gli appuntamenti sono slittati nel tempo, ma siamo comunque riusciti ad incontrare tutti.

La prima tappa del centro è stata incontrare il gruppo di ragazzi con i quali viveva anche Jesùs, l’ultimo dei ragazzi che è entrato nella nostra casa di accoglienza: sono quasi tutti maggiorenni o prossimi alla maggiore età, molto degradati nell’aspetto fisico, anche per il fatto che dormono all’aperto, sul marciapiede, sopra un materasso vecchio e qualche cartone. Hanno livelli di consumo di alcool e altre sostanze molto elevati. Sopravvivono con lavori informali che svolgono durante il giorno per potersi procurare da mangiare e le sostanze da consumare per stordirsi. Con vari di loro Martin doveva mettersi d’accordo per il martedì successivo, per rinnovare i documenti d’identità, per portarli a parlare con l’avvocato di un programma statale gratuito per risolvere piccoli problemi legali, o infine per visitare una cooperativa di pulizia delle strade che ha sempre qualche posto di lavoro disponibile, soprattutto nei turni di notte, ma che richiede tutti i documenti in regola, compreso il certificato degli antecedenti penali che i ragazzi hanno sempre paura ad andare a richiedere nei commissariati perché temono che risultino alcuni loro piccoli precedenti legali. Dovreste vedere con che pazienza e impegno Martin si ricava lo spazio di dialogo per ciascuno di loro, applicando anche in strada la metodologia di intervento personalizzato in cui tanto crediamo: spesso i ragazzi lo interrompono perché vorrebbero essere ascoltati tutti contemporaneamente, ma Martin con dolcezza chiede loro di aspettare finché sta parlando con un altro. In certi momenti è costretto ad interrompersi per gestire qualche zuffa che si scatena dalla degenerazione di uno scherzo, anche mettendosi fisicamente in mezzo a loro per separarli, con fermezza e dolcezza. Il ragazzo che più mi ha colpito è il più vecchio di tutti, avrà neanche trent’anni. E’ originario di Chimbote, una città del nord del Perù. Mi ha colpito la tristezza del suo sguardo nel dire più volte che vuole cambiare, che vuole lavorare per poter fare qualcosa di produttivo e magari tornare nella sua città, dalla sua famiglia con qualcosa in mano: “sono 7 anni che sono arrivato a Lima e non ho combinato ancora niente di buono! Sono stanco di questa vita”. Parla con dolcezza e il suo tono da bambino contrasta sia con il suo aspetto fisico sia con la durezza della sua vita di strada. Martin guida con esperienza il dialogo con lui, invitandolo a porsi piccoli passi concreti per poter realizzare ciò che vuole: gli dice di cominciare a mettere via i soldi per richiedere il duplicato delle carta d’identità, di pensare a dove potrebbe vivere se ottenesse un lavoro, perché non potrebbe dormire per strada e poi presentarsi al lavoro, avrebbe bisogno di riposare in un luogo più protetto e sicuro. Il ragazzo lo ascolta attento ed annuisce. Lo accompagnamo poi a prendere un succo di frutta perché ha molta sete, ma anche questo piccolo gesto d’aiuto che potrebbe esser interpretato come di tipo assistenzialista viene caricato da Martin di un significato di condivisione tra amici: compra il succo, ne beve un po’ lui e poi lo condivide con il ragazzo. Che attenzione anche nei più piccoli dettagli da parte del nostro Martin!

Salutiamo tutti i ragazzi, Martin chiede loro di ripetere varie volte giorno ed ora del prossimo ritrovo, perché non lo dimentichino, poi ci dirigiamo vero la Avenida Abancay, dove dobbiamo incontrare Walter per una chiacchierata approfondita sul suo futuro. E’ uno dei ragazzi di cui Martin è padrino, lo conosce da quando era piccolo ed è molto preoccupato che possa rimettersi a rubare appena uscito dal carcere dove è stato per tre anni. Ci ha chiamato più volte nel corso della mattinata e Martin gli ha chiesto di aspettarci nel punto indicato. Facciamo molta fatica a parcheggiare: un camion si è incastrato in un ferro che sporgeva dal baracchino di ingresso del parcheggio a pagamento. Dobbiamo retrocedere e aspettare con pazienza che riesca a uscire senza destabilizzare la struttura. Questi imprevisti sono all’ordine del giorno in un paese come il Perù e, pur dando un tocco di divertimento alla giornata, ritardano ulteriormente le cose che uno deve fare. Finalmente arriviamo al punto dell’incontro e qui non ci aspetta solo Walter,ma anche altri ragazzi che a vedere Martin approfittano per salutarlo o per chiedergli delle informazioni specifiche. Uno dei ragazzi è Carlos, che l’anno scorso abbiamo aiutato ad iscriversi all’anagrafe e a conoscere la madre che non aveva mai conosciuto. Una storia emozionante, che ci aveva commosso tutti quanti. Adesso si trova alle prese con l’iscrizione all’anagrafe dei suoi due figli, che non ha potuto ancora iscrivere perché la sua compagna non aveva finora la carta d’identità: ironia della sorte che ripete per i figli le stesse vicissitudini dei padri.

Martin si mette d’accordo con lui trovarsi nel pomeriggio ad un internet cafè per insegnargli a controllare via web lo stato delle pratiche avviate all’anagrafe: Martin ci tiene molto, ed io sono perfettamente d’accordo, a rendere progressivamente autonomi i ragazzi, soprattutto se maggiorenni, in vari aspetti della vita sociale: solo così potranno un giorno essere davvero padroni della propria vita, salvaguardando la propria dignità e sentendosi cittadini a tutti gli effetti. Dopo pranzo effettivamente ci siamo ritrovati con lui per questo momento di “didattica applicata” di cui vi mando una foto.

Nella Avenida Abancay, mentre Martin parla con Carlos e altri ragazzi/e, io assisto involontariamente ad un dialogo per me abbastanza surreale tra Walter e Freddy, un ex-ragazzo di strada che adesso si guadagna la vita dignitosamente vendendo mercanzia per strada o lavorando con l’affitto di cellulari per le chiamate: le sue bimbe sono beneficiarie del nostro programma di sostegno educativo per minori ad alto rischio. Freddy chiede a Walter come sta, e l’altro gli racconta pezzi di vita dal carcere, è euforico per la recente libertà e parla delle difficoltà incontrate in carcere; Freddy lo incoraggia a lavorare onestamente, a non ricadere nel furto e nelle brutte compagnie, portando ad esempio se stesso.  Poi mi racconta che stava proprio per chiamare Martin perché è preoccupato di quanto successo la mattina alla sua compagna: ha ricevuto la chiamata da un poliziotto che la convocava in commissariato per una denuncia sospesa di molti anni prima. Lei è molto agitata e preoccupata perché si tratta di una situazione in cui era rimasta coinvolta per difendere un altro ragazzo di strada, ma che poi le era costata la denuncia come complice. Non sanno che fare. Io lo ascolto e gli dico che secondo me potrebbe trattarsi anche di un tentativo di estorsione da parte di un poliziotto corrotto, visto che non è arrivata nessuna citazione scritta, ma solo una telefonata. Quando Martin si libera, gli raccontiamo cosa è successo e conferma il mio commento: propone comunque a Freddy di avvisare Maria che la settimana successiva porterà alcuni ragazzi della zona in cui siamo stati poco prima a parlare con l’avvocato del programma giovanile per problemi con la legge e che potrebbe essere una buona idea che lei venisse per sentire un parere legale su come potrebbe procedere per sanare la propria situazione. Mi colpisce, al di là di tutti gli aspetti pratici, il fatto che Maria ora è completamente estranea a qualunque contatto con la strada, sta bene, ha formato con Freddy e con i loro tre figli un nucleo familiare sereno e amorevole, si guadagna dignitosamente da vivere nonostante l’estrema povertà in cui vivono, ed ora, a distanza di molto tempo, rischia addirittura di finire in carcere per un reato che non ha commesso, ma che per timore e mancanza di risorse economiche e culturali ha trascurato a tal punto che adesso potrebbe compromettere la normalità della sua vita attuale: anche in questo, rifletto, si vede come i ragazzi di strada siano condannati a pagare, anche nel tempo, le conseguenze dei propri vissuti in strada, pur non essendo più in strada. E’ ingiusto e paradossale.

Ci dedichiamo poi a Walter, che ci accompagna a vedere la stanza in affitto in cui sta momentaneamente vivendo: un tugurio, all’interno di uno dei palazzi fatiscenti del centro di Lima, in cui qualche impresario ricava con pannelli di compensato varie stanze, con bagno comune, che affitta a prezzo giornaliero a chi non arriverà mai a mettere insieme i soldi per caparra e affitto mensile. Poi condividiamo il pranzo io, lui e Martin in un ristorantino tranquillo, perché Martin vuole parlare con calma e in modo approfondito con lui: ogni istante del pranzo viene usato da Martin in modo sapiente e proficuo per capire cosa sta facendo Walter e che intenzioni ha. Alterna, con mia grande ammirazione, momenti in cui gli conferma tutto il suo affetto, ad altri in cui con fermezza lo ammonisce a non fermarsi a vivere in centro perché rischia di rimettersi in contattato con il gruppo di amici con cui commetteva furti quando è finito in carcere, gli chiarisce che se dovesse ritrovarsi ad avere problemi fondati con la legge  questa volta non muoverebbe un dito per cercare avvocati né per andarlo a trovare in carcere, perché non avrebbe senso se lui non ha la volontà di cambiare; gli ricorda che moltissimi altri ragazzi non hanno avuto la fortuna di essere aiutati e visitati in carcere da amici e familiari come nel suo caso e quindi lo ammonisce a non buttare al vento la possibilità di rifarsi una vita onesta dopo la brutta esperienza del carcere. Nella parte finale del dialogo Martin gli propone delle modalità di aiuto concrete, che ripete più volte perché si fissino nella mente di Walter: lo aiuterà a pagare l’affitto di un mese, se  Walter troverà una stanza lontano dal centro e vicino invece alle sorelle che sono disposte ad aiutarlo se lui non ritorna nelle stesse condizioni precedenti al carcere; gli presteremo un letto e un materasso finchè non troverà un lavoro; lo accompagnerà a richiedere un lavoro nella stessa cooperativa di pulizie a cui ha già derivato vari ragazzi di strada volenterosi di avere un lavoro più stabile, se Walter è interessato. In cambio Walter dovrà impegnarsi a raccogliere i pochi soldi necessari a rifarsi la carta d’identità che gli hanno trattenuto in commissariato, restare lontano dal centro, cercare la stanza da affittare. Rimangono d’accordo che Walter chiamerà Martin quando avrà raccolto i soldi per la carta d’identità: Martin gli suggerisce di fare i piccoli lavoretti che sa fare, come vendere caramelle, cercare di ritornare in un panificio dove aveva aiutato prima del carcere. Walter chiama una delle zie dal cellulare di Martin  perché vuole rassicurarla sugli accordi presi con lui. Purtroppo sia io che Martin restiamo con la sensazione forte che siano più intenzioni che reali motivazioni al cambio quelle che dimostra Walter: vedo Martin preoccupato e scettico, ma comunque deciso a percorrere tutte le strade per evitare che questo ragazzo finisca di nuovo in carcere. E’ chiaro che la volontà di cambiare può mettercela solo Walter, noi possiamo offrire opportunità e suggerire. Lo lasciamo con l’accordo di sentirci nel fine settimana quando con le zie e sorella cercherà la stanza da affittare.

La giornata non è ancora finita: c’è ancora spazio per incontrarci con Carlos nell’internet, per insegnargli a consultare la pagina web dell’anagrafe, per incontrare Maria la mamma del figlio di Edvin che la mattina abbiamo accompagnato all’ospedale per richiedere il documento di nascita del bimbo, per salutare e guidare nelle pratiche di alcuni documenti anche un signore di una certa età che non è mai riuscito ad avere la carta d’identità e con emozione va a prendere il certificato di nascita, unico documento che abbia mai avuto. Maria è una ragazza sincera, forte e chiara nei suoi progetti: con l’aiuto di Martin, seduti su un pilone in mezzo alla strada, compilano il documento che le servirà per richiedere in ospedale il certificato di nascita del figlio, visto che la mattina Edvin non lo ha potuto fare perché mancavano proprio i dati esatti di lei e del bimbo. Martin ha cura di spiegarle ogni dettaglio del documento e di quello che dovrà fare il giorno dopo, sempre nell’ottica di rendere autonomi i ragazzi senza che si sentano persi nell’iter delle pratiche burocratiche dalle quali spesso si sentono sopraffatti per la complessità insita nelle stesse e la scarsa capacità di comunicazione per richiedere e dare informazioni. Passiamo infine da un mercato per salutare la mamma di una ragazza che Martin tanti anni fa ha accompagnato in un centro di accoglienza e che, essendo prossima alla maggiore età, si trova in fase di uscita dalla struttura, dopo un percorso che per fortuna l’ha tenuta lontano dei giri della prostituzione in cui avrebbe potuto facilmente cadere.

Terminiamo la giornata spostandoci nel Rimac, altro distretto di Lima, per vedere se riusciamo ad incontrarci con Daniel, un ragazzo che conosciamo fin da piccolo, che ha sempre vissuto nella promiscuità delle stanze in affitto dei palazzi fatiscenti di Lima, che ha provato ad entrare nella nostra casa di accoglienza, ma non è riuscito ad abituarsi: Martin  gli ha proposto di cercare una squadra di calcio in cui iscriverlo perché possa avere, come forma di prevenzione, un’attività che lo tenga lontano almeno per qualche ora dalla compagnia degli amici che sono già dediti alla vita di strada e al consumo di colla. Daniel, infatti, che fino a poco tempo fa era un ragazzino a rischio, ma non ancora di strada, oggi ha iniziato con l’adolescenza ad unirsi al gruppo dei ragazzi di strada che vivono nello stesso palazzo e sta iniziando a sperimentare il consumo di colla. Questo mi conferma quanto sia importante puntare sulla prevenzione, pur consapevoli che quando i ragazzi crescono in contesti come quello in cui è cresciuto Daniel, l’influenza dell’ambiente è enorme e rende estremamente difficile staccare i ragazzi dai rischi che esso comporta e che sono visti come normali da tutti coloro che ci vivono all’interno.

Rientriamo stanchi, ma estremamente arricchiti da tutti gli incontri avuti in strada, con una punta di preoccupazione e tristezza per quelle situazioni che sappiamo resteranno irrisolte.

 

Alessandra.